Sunday 9 September 2007

The green island

Eh si, come potete vedere dalle foto sono partito. Un ultimo saluto, un abbraccio, consapevoli che per quando possa essere salda la stretta non basterà a salvarci dal distacco.
Così Munnin parte, e se piace a Odino, l'Aldafadr, passerà magnifiche avventure.

Come è stato il mio arrivo?
Traumatico.
L'atterraggio è stato pessimo, e le turbolenze in aria non hanno certo migliorato il volo.
Ho avuto la fortuna di conoscere una ragazza molto colta in aereo, ma lei va a Galway.
Com'è la verde isola?
Dall'alto in verità sembra ben poco verde. Anche dall'autobus di verde ne ho visto ben poco. Grandi edifici di mattoncini rossi, finestre sporgenti stile irish, spazi verdi qua e là non riescono a pareggiare ciò che è stato perduto.
L'autobus mi ha scaricato per strada. Devo ammettere che ho perso la fermata giusta, ma mi avrebbe comunque scaricato su una statale superaffollata in cui, tralaltro, la gente guida a sinistra.
Erano almeno 21 gradi col sole addosso e sudando, con zaino e valigia, ho finalmente raggiunto il campus.
Pensate sia finita? no.
Il campus universitario è grosso almeno tre volte il centro storico di Osimo.
Io vengo dalla campagna. Sono abituato ai rovi e so distinguere le tuglie dai salici. Ma di strade non capisco nulla.
Inutile descrivere la frustrazione nel cercare l'abitazione, camminando tra irlandesi alti, biondi e bianchi che prendono il sole sull'erba, cinesi che parlano stretto e guardano storto, Musulmani nei loro tappeti avvolti addosso e io che sfacchinavo sotto il sole.
Ma non mi sono scoraggiato. Non è un po' di fatica che mi scoraggia. Altrimenti Thor, o Donar il possente si prenderebbe gioco di me.
Scopro che l'acqua costa più della birra e mi chiedo come pretendano di combattere l'alcolismo con simili tariffe.

I miei compagni di stanza sono tutti Erasmus. Julienne, il francese che studia inglese, storia, letteratura, politica e solo lui sa cosa. Parla poco ma non sembra diffidente nei miei confronti. Bianco come il latte che beve, capelli neri e un ridicolo accenno di baffi. Parliamo inglese, e francese quando vogliamo snobbare Juan.
Credo che si scriva così. Se fosse tedesco lo scriverei Chuan, ma è spagnolo. Origini argentine. Pelato, con una cicatrice sull'occhio. Cammina a piedi nudi per la casa e vuole fare sport all'università. Ha una amica, Rajel (stessa pronuncia ch aspirata di Juan) molto carina. Parlano spagnolo tra di loro e li capisco quasi sempre.
Studiano italiano, ma non capiscono molto oltre a qualche parolaccia classica.

Oggi sono andato nella city. An lar dicono in gaelico. E' scritto in tutti i cartelli.
La caratteristica fondamentale sono stati gli odori.
Al centro si arriva con l'autobus della Dublin bus. Questi cassoni gialli blu e azzurri sono ovunque. Credo costituiscano circa il 50% del traffico. Si, perché questa enorme città non ha neanche una metropolitana.
Sono sceso e ho cominciato a camminare. Davanti a me alcune statue di grandi irlandesi e mille negozi, ma non ho idea di dove sono. Trovare una cartina!
A questo punto emerge il primo odore di dublino, quello dei grandi viali. Odore di hamburger ed altro surrogato di cibo di fast food in marcescenza. Se hai fame può anche essere gradevole, ma dopo un po' diventa orrendo. Vedo davanti a me uno di quegli enormi negozi di souvenir. Solitamente evito questa robaccia da turisti di comitiva. Ma vi sono entrato per varie ragioni.

Ci sono anche belle cose: thé irlandesi, Bodhran, maglioni e federe con ricamato il trifoglio (che compro, perché mi manca proprio una federa).
Poi c'è la solita fuffa tipo portachiavi e trifogli sottovuoto et similia. COmpro anche una cartina del centro, a 10 € (un vero furto) ma almeno mi salverà la pelle nelle prime walks.
Capisco di essere a Parnell street. In realtà mi sono sbagliato, ma non so come riesco comunque a raggiungere i luoghi che voglio. Faccio i primi passi per vie secondarie e sento il secondo odore della città: odore di urina.

Urina e vomito forse sarebbe più corretto.

Pensavo che le strade fossero piene di turisti. In realtà il 90% sono asiatici. Questo è uno dei risultati della tigre celtica (gli autoctoni chiamano così il boom economico degli ultimi anni).
Non solo il campus ne è pieno (e lo UCD gode perché pagano più tasse) ma le strade ne sono dominate. Sembra quasi siano loro a far funzionare le cose, delegando agli irlandesi il ruolo di attrazione turistica.

Ad ogni modo continuo per la mia stradina bordata da case di rossi mattoni, senza una meta particolare.
Qui scorgo una bella chiesa che si prende un paio di foto, ma soprattutto una "baretto".
Si, il locale il questione è in una stradaccia, non si chiama neppure pub. Niente manifesti e insegne. Dentro una donna corpulenta serve birre a irlandesi veri, in un ambiente legnoso che è tutto da irish pub.
Ho dimenticato i documenti, ma mostrando la barba chiedo una pinta di Guinness con gentilezza. Degluttisco...

Non mi chiede nulla... spilla con lentezza la birra, fa posare la schiuma, e la pago. Una cazzata, 3.40€. Se pensate che una bottiglia da 50cl di acqua ne costa 1.50... La guinness richiede pazienza per essere gustata al meglio. Dovrò ricordarlo. Gli irlandesi dovevano essere un popolo paziente, un tempo...
Sorseggio la birra in silenzio. Non è come quella dell'obrian. La schiuma è dolce. La birra corposa. Sazia come un pasto. Finita la pinta piscio. Il cesso risale all'800.
Esco e un silenzioso avventore (un anziano) mi saluta cortesemente.
Allora c'è l'irishness! O è solo arteriosclerosi?
Vago ancora un po' nella china town, figlia della tigre. Vedo la via principale, l'ufficio postale dove si barricarono i valorosi della rivoluzione del 1916. Tra cui anche Yeats.
Coraggiosi eh?
Tutti morti. Tranne Yeats, aveva un gran culo il ragazzo.

Sorpasso altri negozi da turisti.
Altro incontro con gli odori: un salone/opera d'arte. Il pavimento è coperto di legno, foglie secche, sottobosco. L'aria è piena dell'odore di casa. Juan crede sia eucalipto. Non glie lo faccio notare, ma è odore di resina e pigne, odore di tuglie che tanto rigogliose crescono nella mia patria.

Temple bar riserva bei viali ed ha anche graziosi vicoli. Ma ovunque prolifera il cemento. Cemento su cui artisti di strada scrivono la propria fame, coronata da arpe e celtic knot.

Un vecchio suona un Bodhran con una base musicale nello stereo. Ha un sorriso ebete. Sarà davvero felice?

Non mi aspettavo certo poeti guerrieri ad ogni vicolo, ma questa dublino stenta. Ad essere credibile.
SI, ci sono artisti di strada irlandesi dalla barba rossa che sembrano leprechaun. CI sono i cartelli in gaelico. Ma quest città ancora non mi convince e mi chiedo se mi sentirò mai un Dubliner.

Capita ogni tanto di scorgere suonatori di strada, anziani, che fanno canzoni tipiche come "fields of athenrye". Tra le loro bianche barbe che suonano flauti e le mani che accarezzano concertine, ti chiedi se hanno mai visto i "campi di athenrye" e cosa ci fanno lì. Viene quasi da commuoversi. Ma devo osservare e continuo per la mia strada.
Passo per il mercato e sono aggredito dagli odori. Un ragazzo arpeggia su una chitarra acustica. Non è il solito jig irlandese.

Vedo una bella chiesa gotica. Entro e trovo un negozio di souvenir enorme. Ovviamente non nutro grande amore verso il cristo bianco, ma mi sono sentito oltraggiato. Ascolto un cd che hanno in vendita. Un medley di 101 canzoni da 15 secondi con base elettronica. Un vero schifo.
La mia strada riprende. C'è una suonatrice d'arpa molto brava che vende anche CD ma non ho il cuore di interromperla per comprarlo.
COsì la strada mi porta a S.Stephen's green. Gran bel parco. Pieno di asiatici. CI sono foto del WWF appesi, scatti veramente ottimi.

Osservo Belgrove dalla finestra. Ci sono molti corvi qua. Mi viene da chiedermi chi sia il vero Munnin. Forse lo siamo un po' tutti.

Che il vento del nord ci porti fortuna.

Munnin

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