Così ne incontro due, di cui uno, Davide, abita proprio di fronte a me. Per fortuna sono all'incirca la parte di italia che avrei voluto portare con me e non quella per la quale l'ho abbandonata.I miei flatmates sono sempre più amorfi. Ognuno fa la spesa per sé, mangia per sé e ci salutiamo appena. Alla faccia dell'appartamento Erasmus.
Mi sono dovuto ricredere sugli spagnoli e sugli americani. I primi, dopo i primissimi giorni sono diventati sempre più asociali, parlano solo spagnolo. I secondi sono i più gentili che abbia mai conosciuto. Anche se con i loro difetti e idiosincrasie, sono molto cordiali con tutti quanti, apprezzano la nostra cucina e ci propongono la loro (che non è solo hamburger e patatine fritte). Detestano Bush e sono critici verso l'america, anche se la california (vengono quasi tutti da lì) non dovrebbe essere male.
Una sera stavamo alla finestra e abbiamo visto della gente passare. A dire la verità il campus era superaffollato. Ci vedono alla finestra e ci fanno cenno di venire. Io e Davide scendiamo e ci uniamo alla popolazione autoctona. Molti di loro sono belli sbronzi. In quanto italiani giochiamo la parte degli animali da zoo. Del tipo “ah italians! Pizza mandolino mafia! I know some words in italian: vaffanculo bastardo!” Insegnamo loro anche l'inno d'italia. Con qualcuno un po' più sano, come il giovane Idreen (non so come si scriva in verità), si riesce a parlare normalmente. Le ragazze sono veramente belle, alla faccia della leggenda metropolitana che vuole che le ragazze irish siano brutte. Battono le italiane 10 a 0, fidatevi.
Io e Davide condividiamo questo desiderio di mescolarci nella popolazione indigena, per cui riusciamo a scambiare numero di telefono con alcuni di loro che ci promettono che il giorno seguente faremo una bella festa.
Entriamo in un appartamento. Ci accoglie Brendan, faccia da irlandese, ci offre quel poco di birra rimasta e scherza con noi.
Proviamo la famosa socievolezza irlandese.
Infine l'ora si fa tarda e arriva la security dell'università. Ci si saluta e da appuntamento a domani.
Il giorno dopo nessuno risponde al telefono. Quelli che cantavano con noi l'inno d'italia e credevano che io fossi pirlo, quelli che acclamavano l'arrivo di due italiani... non ci salutano né danno segno di volerci riconoscere.
Tranne Idreen e un suo amico di cui non ricordo il nome.
Dal punto di vista pratico, le lezioni sono brevi e interessanti. A parte fonetica. L'acquisto di pentolame e lenzuola, l'arrivo dell'accappatoio e l'incontro con gli italiani rendono tutte le attività
vitali sono più semplici e soddisfacenti.
Cammino per la strada, sotto il cielo sempre nuvoloso ma bello. Ascolto “the passenger” e penso che sono proprio un passeggero. So che devo stare qua, rimanerci. Non sono un turista, il mio scopo è vivere qua come se fosse la mia casa, mescolarmi alla popolazione, fare esami, mangiare, come tutti gli altri. Eppure non sono qua a tempo indeterminato. C'è un orologio che batte senza posa tutti i giorni che mancano alla mia partenza, che per quanto siano molti sono limitati. E' una sorta di Limbo.
E quanto è strano seguire le lezioni di letteratura italiana! A Macerata era diverso. Lì la letteratura era qualcosa di vecchio, affrontato in maniera antiquata, accademico e con odore di polvere. Qua ti senti fare i complimenti perché sei italiano, senti la tua cultura valorizzata. Pensi a queste persone che sognano i paesaggi Recanatesi di Leopardi, e tu li hai già visti, per te sono normali.
Tutto è molto diverso da come lo immaginavo.
Weird, direbbe Treevor.
Gli orari sono diversi. Il mio stesso metabolismo cambia e riesco a saltare direttamente dei pasti senza alcun problema.
Ho imparato a guardare prima a destra e poi a sinistra quando attraverso la strada. Mi sembra normale guidare a sinistra. Il mio inglese però non è ancora abbastanza convinciente.
Parlo italiano molto spesso. Ma proprio perché ho questo collegamento con la patria, la mia percezione cambia.
Non mi vergogno di essere italiano. Si, dell'italia mi vergogno. Ma non della mia nazionalità, ora che sono all'estero. Sull'autobus provo il desiderio che qualcuno mi parli, che io venga scambiato per autoctono, da chiunque, anche una vecchietta di 80 anni.
Mi manca Tannert, le piccolissime lezioni, palazzo Torri.
I primi giorni scrivevo appunti in italiano, per non sentirmi uniformato e spaesato. Adesso li scrivo in itanglish, cioè mescolando entrambe le lingue in base alla comodità.
C'è molto ordine qua. Il sistema informatico fa in modo che grazie ad un codice a barre ti possano rintracciare. Per entrare in biblioteca devi passare una tessera su un lettore che apre la sbarra, stessa cosa per uscire. A Macerata per entrare in biblioteca bastava fare le scale.
Gli irlandesi non hanno una gran cultura. Durante la lezione non sono riusciti a tirare fuori l'anno della rivoluzione francese. Ho una marcia in più rispetto a loro. Una cultura superiore. Parlo la loro lingua, ed una che loro non capiranno mai.
Ieri abbiamo fatto una partita di calcio. Non ero molto d'accordo: ero stanco e gli americani sono tutti grossi almeno 3 volte me. Con le loro scarpette da Soccer professionali.
E invece cominciamo, Io, Davide, Treevor, Jonas alias Germany e Christine. Poi passa di lì un irlandese e invitiamo anche lui. Passa altra gente e la partita si allarga. Dimentichiamo i punti e giochiamo solo per divertimento. La conclusione? Nessun antagonismo. L'america, che noi conosciamo per essere la patria dello sport cattivo, dell'antagonismo, del prevalere e della forza fisica ha mandato nell'isola tutte persone al quale non è fregato nulla della partita, dei punti, delle squadre. Nessun fallo in 2 ore di partita. In Italia non mi è mai successo.
Tutto quello che è interessato a loro è stato di poter poi venire in casa nostra a bere qualche bottiglia di vino e del sidro da discount – tutto sommato non male – insieme. Anche loro hanno dimostrato il secessionismo che assurdamente impera tra erasmus (famosi per essere socievoli) di dividersi per nazionalità, ma di tutti sono stati i più friendly, sempre gentili e rispettosi.
Gli irlandesi non hanno grande interesse nel vestirsi. Sono molto essenziali e le ragazze hannoun che di folkloristico, ma anche se a Dublino la moda si fa sentire di più, genericamente non hanno grande interesse per quello che si sono buttati addosso la mattina. Alle superiori hanno divise, anch'esse un po' ridicole.
Se questo può essere visto in maniera negativa (“ah, gli irlandesi non sanno vestirsi!”) in realtà è una gran cosa. Significa che non si fanno prendere in giro dai perversi meccanismi della moda che hanno come unico scopo creare distinzioni, opposizioni, istigare il consumismo e prosciugare i risparmi oltre che donarci una dose extra di stress.
Piove. A vento. La pioggia è sottile come nebbia. Apro la finestra per farne entrare l'odore. I cardini stridono alla potenza del vento.
Irish Weather.
Iera cena italiana. 2 Chili di spaghetti alla carbonara per 6 italiani, uno francopolacco, un germanico e un americano. Tutti hanno ovviamente gradito! Poi un salto alla festa dei francesi. Spocchiosi e asociali come al solito.
Mi manca il verde. Belgrove è piena di alberi e prati, ma è molto diverso.
Mi mancano i ragazzi di casa: Duro, Rida, Fritz, Romolo. Mi manca la batteria e la chitarra.
Ma per ora sopravvivo.
Qua è tutto molto strano. La comunicazione è difficile. Desideri di integrarti ma la tua faccia dice “ITALIA”. Difficile distaccarsi dai pessimi luoghi comuni e misfatti della patria, difficile perdere l'accento. Sarà la strana luce filtrata dalle pesanti nubi, ma in questa nuova posizione tutto sembra nuovo e diverso. E disorientante.
Per ora le novità sono finite e riposo e lavoro mi attendono in egual misura. Che il vento del nord gonfi le vostre vele.
Munnin
1 comment:
Impossibile non rimanere affascinati dalle tue cronache e dal tuo modo di scrivere. Accipigna! Complimenti Dani!
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