A Ulm ho portato il sole.
Sì, ho cambiato qualcosa in alcune persone, ho portato novità in certi ambienti, aiutato in certi altri e di certo sollevato anche un po' di chiacchiere in giro.
Ho portato un po' del sole che vivo dentro.
Quando sono arrivato Ulm era soleggiata. E tutte le volte che sono tornato da fuori c'era il sole.
E tutte le volte che l'ho lasciata nevicava.
Trattenute le lacrime a stento, caricando i bagagli su una macchina che mi avrebbe riportato in Italia, sotto una neve inaspettata e incalzante, ho baciato il mio addio a una città che per qualche motivo aveva attratto le mie simpatie.
Saranno stati i corvi, le prime nevi di novembre, così entusiasmanti.
Saranno state le passeggiate solitarie per le strade (quanto si vede meglio sulle proprie gambe, fanculo l'auto).
Saranno stati gli italiani, simpaticissimi e generosi, e i tedeschi sinceri e tranquilli.
A Ulm ho portato il sole, ma sento di essermi portato a casa tanta nebbia.
Aver abbandonato una realtà e delle persone per cui ero a mio modo un centro di gravità, è stata dura. Ma ancora più dura tornare all'università: un luogo che prima amavo, ma ora vedo solo come svilente e spersonalizzante. Non conto niente, non valgo niente, sono solo una bestia da esami.
Cerco di capire per quale motivo avrei dovuto imparare a memoria la sintesi in controreazione dello stato, perché a memoria, e perché questa conoscenza determina l'essere o no un ingegnere. E nel frattempo arrivo lo "Zeugnis", il report di fine contratto con Frank che attesta le mie competenze tecniche e umane, mi riempe di complimenti e mi dice che con dispiacere chiudono il contratto.
E allora mi chiedo perché non l'ho esteso come proponevano loro? Perché cazzo perché? Perché devo subire le pene meschine e barbine di gente che non ha mai lavorato davvero? Quante ce ne sono da dire sulla nuova università, su come si è adeguata la nostra e su certi professori.
Riforma del cazzo, ha rovinato l'università.
Beh, per quanto riguarda l'esperienza di Huginn vi dico questo.
E' stata grandiosa e mai la cancellerei. Sarebbe importante che tutti i popoli si spostassero e visitassero altri paesi. C'è sempre da imparare. Nel nostro caso c'è tutto da imparare. Quasi.
Ora vorrei solo tornare alla terra natìa da vittorioso e restarmene qua, completare la specialistica e nel frattempo decidere per il futuro: sogno sempre di andare a vivere in Norvegia e trovare lavoro là, ma mi chiedo ancora se la Norvegia è un mito che mi sono costruito da me...
E qua ho tutto, non manca niente. Anche il lavoro più bello che potessi desiderare.
Le montagne e il mare, il Conero non ce l'hanno in molti...
Quello che ci manca è un sistema sociale adeguato, una società democratica e una politica quasi onesta. E non possiamo sperare di averli nei prossimi 5-10 anni credo.
Quello che ci manca è una vita serena, perché qui siamo tutti stressati. E se due madri si fermano con i figli in carrozzina a parlare al parco - che è già tanto che hanno trovato un momento di pausa - si lamentano e si piangono addosso e poi fuggono perché il tempo è finito.
In Germania i genitori uscivano insieme con i bambini al parco tranquilli e beati, perché vivono nel benessere. I soldi contano fino a un certo punto, che lo si voglia o no. Magari qualcuno che ha fatto scout come me sa anche qualcosa a proposito di essenzialità, ma è una lezione per pochi e perciò chi non la conosce ha bisogno del benessere.
Lasciare casa fa riflettere su tante cose. La famiglia e il proprio essere adulto. Quanto tempo vogliamo spendere con i nostri genitori? Che vita vogliamo davvero per noi, ora che è possibile provarne una? I luoghi? Sono tutti uguali? E le persone? Le persone contano davvero. Se i luoghi fossero così importanti allora l'Italia sarebbe il migliore posto del mondo per vivere. Perché mite e bella come l'Italia ce ne sono pochi. La neve mi piace. E la Norvegia era bella. Le campagne della germania del sud sono molto pittoresche. Ma io credo che dal punto di vista naturale e paesaggistico l'Italia sia completa. E ci sarà un motivo se tutti vengono qua, mica sono proprio scemi.
Andare a lavoro da riflettere molto, e su questo punto, a quest'età insisterei parecchio. Molti dei nostri compagni delle medie lavorano da un pezzo. Magari per loro è naturale e su certe cose non ci hanno mai riflettuto. Per noi tardoni universitari che magari cominciamo a percepire uno stipendio o un assegno di ricerca a 28 anni (all'estero è tutto un altro discorso), lavorare ormai non è più concepibile. E poi... azz ora non ho più tempo mi dispiace.
A presto
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